Faccio sindacato e politica praticamente da sempre. Dal 2008, però, sono distaccato sulla segreteria regionale della Uilcom, la categoria che per la Uil rappresenta il mondo delle Telecomunicazioni. La parola telecomunicazioni, però, non basta da sola a comprendere un settore che al suo interno non ha soltanto quelle aziende che si occupano propriamente della materia. Nel comparto, infatti, ricadono oltre alle aziende storiche che si occupano di telefonia mobile e fissa e di informatica (Telecom. Tim. Vodafone, Wind ect.) anche le aziende dello Spettacolo come i Teatri e le Fondazioni lirico-sinfoniche o le aziende del cosiddetto “tempo libero” come l'Ippica, con le sue due principali realtà per Napoli e per l'intera regione Campania Ippodromo di Agnano SpA e Agnano Serivice, o Edenlandia e lo Zoo di Napoli (che rientrano nei parchi giochi e nei luoghi di aggregazione sociale in generale). Ricadono nelle Tlc anche le aziende dell'industria della carta, quindi le cartiere – famosa è stata per questo settore nella nostra regione la vertenza dell'Aticarta di Pompei, conclusasi poi malamente come tutti ricorderanno – e le aziende poligrafiche e cartotecniche. Quindi, in conclusione, fanno capo alle Telecomunicazioni tutte quelle aziende operanti nel settore della Comunicazione propriamente intesa, come ad esempio la Rai o le emittenti locali e private e tutto il settore dell'Editoria per la sola parte – molto vasta già di per sé – dei lavoratori di ogni livello e mansione, esclusi i giornalisti che hanno un contratto categoriale differente e sono seguiti, come si sa, dalla FNSI e dalle Assostampa locali presso gli Ordini regionali.
Fatta questa doverosa premessa, prima di addentrarci nel racconto di una giornata tipo di un sindacalista “onesto”, è opportuno precisare che fare sindacato è per molti una missione, per altri un comodo ripiego per scansare la fatica, per molti un interessante opportunità per raggiungere alti livelli di carriera e profitto personale. Valutate da soli ed in libertà – chi mi conosce bene questa valutazione non la deve fare perché l'ha già fatta da tempo – quale delle tre motivazioni mi spinge ad andare avanti in questa “jungla” di contraddizioni e di asperità che è il sindacato oggi, in particolar modo nella nostra regione e nella nostra città.
Come detto, lavoro a tempo pieno per il sindacato dal 2008. Prima, ho svolto la “missione” del sindacalista in azienda ricoprendo dal 2001 in poi, per tre volte consecutive e con il massimo dei consensi sempre crescente nel luogo di lavoro tra i colleghi, l'incarico di RSU (rappresentante sindacale unitario) e più volte anche quello di RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza).
Ore 06.15. La mia giornata tipo (prendo spunto da una delle ultime giornate “sindacali” vissute di recente) inizia alle 6,15 circa, orario di sveglia per mia moglie Sonia, operatrice telefonica al call center di Almaviva a Napoli (azienda della quale anche io sono dipendente e dalla quale ho mosso i miei “primi passi” nel sindacato). Il sindacato non mi impone di “timbrare il cartellino” o “beggiare”, quindi ho “flessibilità in questo. Ma poiché vivo in un'abitazione di circa 32 metri quadri, è inevitabile essere svegliato da mia moglie che si prepara per il turno 7-15 al call center. Pur provando a girarmi e rigirarmi non appena è andata via, ormai sono sveglio e decido di alzarmi.
In mattinata sono atteso in un call center in provincia, in calendario ci sono le assemblee tra i lavoratori. Le Rsu aziendali già dalle prime ore del giorno sono tra i lavoratori per accertarsi che i permessi per partecipare alle assemblee siano stati regolarmente compilati e consegnati per tempo al team leader. Nei call center anche una semplice assemblea diventa un motivo di scontro con l'azienda, sempre attenta ai numeri ed alle code di traffico telefonico da gestire e sempre pronta a creare problemi ai dipendenti ed alle Rsu. La conclusione è che il lavoratore se la prende col proprio rappresentante, il rappresentante se la prende col delegato di segreteria (cioè con me!), io me la prendo con l'azienda. Tutti se la prendono col team leader, spesso soggetto inconsapevole preso tra i due o più fuochi. A volte, ad onor del vero, succede anche che il team leader ci metta del suo. Ma nella maggior parte dei casi è solo un lavoratore come tanti che deve trovare il giusto equilibrio tra interessi diversi che esercitano pressioni costante e continue su di lui. E non è facile, credetemi!
Ore 9,30. Dopo una preparazione "complessa e duratura" – a volte mi rendo conto che nella cura della persona sono peggio di una donna – esco finalmente da casa. E qui comincia la giostra. Nel percorre, infatti, il primo tratto verso la tangenziale di Napoli ho già risposto a 3 telefonate e molteplici sms delle Rsu che mi comunicano agitate che l'azienda non vuole far andare alle assemblee i lavoratori ed ho già chiamato la direzione e sto litigando al telefono, da un lato con il capo del personale e dall'altro con l'Rsu. Nel frattempo, ho preso tutti i fossi e le buche (tante, purtroppo) che ho incontrato sul cammino e ho rischiato di tamponare più volte la vecchietta d'avanti che guida come se stessimo nella quiete di una stradina di campagna nel Connecticut o in Pennsylvania. Sto già stressato di brutto e la giornata non è nemmeno iniziata. Poco dopo, imbocco la tangenziale di Napoli all'altezza dello svincolo di via Jannelli in direzione centro direzionale. E che ve lo dico a fare: un oceano di macchine, praticamente siamo paralizzati. Già so che il tratto incriminato è fino all'uscita corso Malta, poi si ritornerà a camminare. Nel mentre, provo a rilassarmi con gli Iron Maiden a tutto volume. Porto sempre con me in auto qualche cd ed almeno uno è dei Maiden e non deve mancare mai. Quello che mi piace di più è Rock in Rio, il doppio album che la band incise nel 2001 e che molti fan considerano una delle loro migliori performance live. Tra questi, mi annovero anch'io. Non riesco ad ascoltare abbastanza che già squilla di nuovo il cellulare. E' la collega che segue insieme a me l'Ippodromo di Agnano che mi ricorda che l'incontro per la vertenza della liquidazione di ferie e tfr per i lavoratori assorbiti poi dalla rinata società si dovrà posticipare a data da destinarsi per subentrati impegni aziendali. E chi li sente mo ai lavoratori che attendono di sapere se prenderanno mai questi soldi che gli spettano di diritto. Nel frattempo, nonostante le buche, il traffico, le vecchietta del Connecticut e i lavoratori che mi tempestano di telefonate arrivo a destinazione in tempo per le assemblee: un'ora densa di proteste (tutte sacrosante) da parte dei lavoratori. Le faccio mie, tutte. E prometto di farmene carico con l'azienda. Propongo pubblicamente alle Rsu ed ai lavoratori una richiesta di incontro urgente col capo del personale per affrontare tutte le tematiche emerse nel confronto con i lavoratori. C'è speranza nelle espressioni dei loro volti. Si percepisce che, nonostante le critiche e le lamentele rivolte a me ed alle Rsu, si fidano ancora di noi. Avverto il peso di questa responsabilità e penso che non sarà facile portare a casa tutte le loro rivendicazioni al tavolo del confronto con l'azienda.
Ore 11,00. L'assemblea, come al solito molto movimentata, si è protratta oltre l'orario previsto.
Ci sarà da gestire col la direzione il problema della mancata copertura del servizio. Ora il capo del personale mi chiamerà molto incazzato per dirmi che ha perso centinaia di telefonate e che per colpa nostra (mia, sigh!) dovrà pagare delle penali al cliente. Trovo già nelle chiamate perse una serie innumerevole di squilli da parte sua. Devo scappare, non ho tempo per richiamarlo adesso: sono atteso a Napoli, al Tetro Trianon Viviani i cui lavoratori sono in assemblea permanente da mesi per la situazione debitoria del Teatro nei confronti delle banche.
Ore 12,00. Inizia la riunione con i lavoratori del teatro. Si parla di tante cose. Soprattutto del fatto che la Regione e la Provincia, rispettivamente proprietarie del 60 e del 40 % delle quote di azionariato della società, “menano il can per l'aia” sulla soluzione dell'esposizione debitoria e il presidente della società non ha i soldi per la programmazione finanziaria e il cartellone teatrale per la stagione 2010-2011. E nemmeno il grande
Nino D'Angelo, direttore artistico del teatro, se ne frega più di tanto visto che da quando ho il mandato di seguire il Trianon per conto del sindacato, a parte la solita “solidarietà a chiacchiere” manifestata a mezzo stampa, nei vari incontri con i lavoratori non l'ho mai incontrato. Vabbè, si sa, una stella dello spettacolo come lui può mai mischiarsi ai lavoratori e ai sindacati in assemblea permanente per il destino del teatro dal quale lui percepisce ogni anno un lauto compenso per il solo fatto di comparire sulla carta come direttore artistico e sui cartelloni pubblicitari? Certamente no. Anche questa è Napoli!
Ore 13,30. In tutto il mondo civile è l'ora del pranzo e mi comprenderete se vi dico che già da un bel pezzo ho una “discreta fame”. L'incontro con i lavoratori in assemblea permanente non si è ancora concluso. Si decide di indirizzare l'ennesima richiesta di incontro al Cda, sperando che stavolta ci incontrerà. In caso contrario, la linea è sempre la stessa: provare in tutti i modi a rompere le scatole alla politica, che nel frattempo è impegnata con la definizione della giunta regionale. Bel grattacapo per il neo presidente eletto Stefano Caldoro del centro destra.
Ore 14,00. La riunione termina. Si è deciso di fare unitariamente alle altre sigle la richiesta di incontro al Cda. La mia fame ha raggiunto il limite di sopportazione oltre il quale gli astanti rischiano seriamente. Propongo, visto che ci troviamo a Forcella, di andare a mangiare la pizza insieme da Michele ai Tribunali, in “number one” della pizza napoletana nell'Universo! Ma anche la tradizione di Michele è ormai andata perduta: se vuoi mangiare la pizza più buona del mondo devi prendere il numero e aspettare almeno un'ora lì fuori per entrare. Anche Michele ai Tribunali ha subito gli effetti della globalizzazione e si è “mecdonaldizzato”! La mia proposta è bocciata. Anche nel campo in cui ero il “re incontrastato” incomincio a perdere colpi. Ripiego su un più umile ma pur sempre competitivo panino da Rognoni al Gorso Garibaldi, sotto al sindacato: cotto e provola, crudo e fiordilatte o ricotta e cicoli? Vi lascio nel dubbio. Ma chi mi conosce meglio sa per cosa ho optato, alla fine.
Ore 15,30. Ho mangiato. Sono più sereno. Ma il telefonino ricomincia a squillare incessantemente. Mi risale la pressione. Da Almaviva mi chiamano per dirmi che l'azienda non vuole monetizzare rol ed ex festività e vuole imporre le ferie residue senza il parere favorevole del lavoratore. Siamo alle solite. Il più grande call center d'Europa – così recitava l'annuncio nel 2000 al quale rispondemmo in tanti – che non ha nemmeno i soldi per pagare gli istituti di legge previsti dal contratto nazionale di lavoro e che sono diritti economici dei lavoratori. E piange col sindacato, da 10 anni incessantemente. E quanto piange! E quanto mente! E giù con le solite minacce: “spostiamo tutto a Catania”, oppure “non assumiamo più gli interinali”, ed ancora “non passiamo il lavoratori al quarto livello” e via discorrendo. E nel frattempo continuano ad acquisire quote societarie, come la parte minoritaria di Alicos fino ad ieri in mano ancora ad Alitalia e a fare tante altre strategie e operazioni imprenditoriali di ampia portata. Misteri della finanza italiana.
Ore 16.30. Ho appuntamento in sede con il nostro avvocato per la vertenza interinali. Abbiamo già fatto più di 30 cause. E tante altre ne arriveranno. Nemmeno il tempo di un caffè e di un “ammazza caffé” che l'avvocato è già qui. E con lui i lavoratori in vertenza. Mi chiedo come mai solo noi della Uilcom stiamo combattendo per chi ha conquistato sul campo il proprio diritto all'assunzione dopo anni di precariato. Misteri del sindacato.
Ma con l'avvocato non vogliono parlare soltanto i lavoratori precari. Si intrecciano più riunioni, in una giornata tipo di un sindacalista onesto. I problemi sono tanti e le risposte, spesso, tardano ad arrivare. E a volte non arrivano affatto. Come non arrivano i soldi della cassa integrazione in deroga firmata di recente all'ORMEL della Campania per i “disperati” del call center di Conversa, altra azienda di call center che ha pagato in Campania il lancio del digitale terrestre. E già. Perché quella che doveva essere un'opportunità di sviluppo tecnologico e di lavoro per la nostra regione, proprio grazie al Gruppo Mediaset – che del digitale è stato il più forte sostenitore e fautore – si è rivelata invece l'inizio della tragedia per i lavoratori del gruppo Conversa-Ominianetwork-Voicity che hanno appreso, proprio in concomitanza del lancio della Tv digitale nella nostra regione, che il principale committente della loro azienda, appunto Mediaset che gli garantiva a Vitulazio (CE) e Casalnuovo (NA) il lavoro con la gestione del call center del servizio Premium, ha deciso improvvisamente di revocare la commessa alla loro azienda, La quale, messa alle strette senza più commesse e quindi senza più lavoro, li ha messi in mezzo ad una strada. E la risposta della politica qual è stata? Dopo mesi di trattative, riusciamo ad attivare la cassa integrazione in deroga, anche qui col solo impegno della Uilcom che, in solitario, decide di manifestare al fianco dei lavoratori dinanzi alla Prefettura . Peccato che da mesi, nonostante l'accordo per l'erogazione della cassa, nessuno percepisce un soldo bucato. E molti lavoratori sono in mano agli usurai.
Poi ci si meraviglia del fatto che la regione Campania è il fanalino di coda dell'Europa, oltre che dell'Italia. Ma ora possiamo essere felici, la Grecia sta peggio di noi! Misteri della politica.
Ore 18.00. Mentre il nostro avvocato si divide nella nostra sede tra i cassa(dis)integrati di Conversa e i precari interinali, il nostro segretario generale ci convoca per fare il punto della situazione. Lo scenario, come vedete, è spettrale: la sua stanza non sembra la sede operativa di un confronto tra dirigenti sindacali per l'impostazione di una strategia complessiva. Tutt'altro. La mappa delle emergenze aperte sul tavolo richiede molto più di un'ora fitta di discussione e la sua stanza finisce con l'assomigliare sempre più al quartier generale di Arafat, la Moqada, assediato dagli Israeliani, che non all'ufficio di un dirigente sindacale.
Ore 19.30 (quasi le 20!). La giornata sindacale pare volgere al termine. Ci si saluta col volto affaticato di chi sa di essere un sindacalista di altri tempi. E già, di altri tempi. Nel senso che i tempi son cambiati e quello che fino ad ieri (ed ancor oggi, nella mente pacata di qualcuno) veniva inteso come un parcheggio per nulla facenti, è diventato un campo di battaglia per coraggiosi.
Me ne torno a casa percorrendo stanco a piedi il corso Garibaldi. Quindi piazza Garibaldi, la Stazione centrale nella parte interna, corso Meridionale e finalmente arrivo al garage dove da anni parcheggio la mia macchina, visto che nella città di Napoli i parcheggi nelle strisce bianche non esistono, contrariamente al resto d'Europa e le strisce blu sono stracolme e, quando trovi posto, incustodite.
Ore 20.30. Sono di nuovo a casa. Non vedevo mia moglie da ieri sera. Ceno con lei. Poi, fingendo di vedere qualcosa in tv, mi rigetto nel lavoro. Sono al pc fino oltre le 23 per rispondere a tutte quelle segnalazioni pervenutemi via mail dai lavoratori delle varie aziende che gestisco per conto dell'Organizzazione sindacale alle quali non ho avuto modo di rispondere in giornata. Il cellulare continua a squillare, nonostante l'ora. Un po' di meno, ma squilla ancora. Con un occhio al pc e uno alla televisione sono al telefono col mio amico Giorgio. La lealtà e la fedeltà non sono una cosa molto diffusa nella nostra società. Facciamo il punto della situazione. Quanti hanno provato a dividerci in questi anni e ci provano (invano) ancora adesso! Non ci riescono, nonostante gli sforzi. Ogni tanto mia Sonia mi chiede di abbassare la voce mentre parlo con lui: in 32 metri quadri di casa non si riesce a seguire qualcosa in tv se c'è qualcuno a un metro da te che, mentre parla al telefono, vede anche lui la televisione. Ad alto volume! Ha ragione anche lei: è stressata come me, anzi più di me dopo 8 ore al giorno in cuffia al 190 di Vodafone in Almaviva e la sera, avendo messo in conto oramai che è spostata solo all'anagrafe perché il marito più stressato di lei si porta i problemi del sindacato e dei lavoratori a casa, vorrebbe almeno un po' di libertà e serenità. Sa bene, da donna matura e compagna insostituibile quale è, che per l'attività che svolgo non posso spegnere il cellulare prima di un certo orario (prima di andare a letto, per capirci).
Ore 24,00. Si decide, “unitariamente”, di andare a dormire. Sfiniti. Entrambi sappiamo già che ci si rivedrà alle 20 della sera dopo, cioè esattamente tra poco meno di 24 ore.
Venite venite, venite pure a provare a fare anche voi la vita del “sindacalista onesto” di questi tempi. Tempi moderni. Tempi malati. Tempi brutti. Sullo sfondo, la Napoli che “produce” e che vive, quella dei tanti figli di papà, della borghesia sorda che parla di viaggi, vacanze, investimenti e benessere. Quella dei quartieri bene. Quella delle barche ormeggiate a Mergellina e delle ville a Ischia e Capri. Quella delle borse firmate, delle scarpe solo di Prada e degli occhiali di Gucci. Quella del fitness in palestra o del “Vomero o Chiaia a tutti i costi”. Quella che dice orgogliosa “io non ho mai lavorato”. La Napoli delle buche. La Napoli del traffico. La Napoli della Sanità disastrata, nella quale si muore per una banale radiografia con contrasto endovena. La Napoli della politica che si divide sulla scelta del nome per il prossimo Sindaco di Napoli – se sarà Mara Carfagna o il delfino di turno dell'intramontabile Bassolino – e dimentica i cassa integrati di Conversa, mentre gira la faccia dall'altro lato se vede per strada il barbone o il rom di turno.
Qualcuno la domenica ama dire “salite sulla giostra, è gratis...”. Ma non è il Napoli.
E' Napoli, purtroppo. E questa è la giornata tipo in questa città “assediata” di un sindacalista onesto.
Con la grinta di sempre,
Gigi Mercogliano